Avrete letto della dichiarazione di Papa Francesco fatta durante una riunione con i vescovi della CEI, dove chiedeva di non ammettere in seminario persone gay. Per farlo ha usato un termine omofobo “frociaggine”: ovviamente dopo la polemica era il caso di gestire il crisis management. E mi pare che, nei limiti del possibile, ci siano elementi da manuale della comunicazione.
IL FATTO
La chiesa, prima di Papa Francesco, ha sempre avuto un atteggiamento chiaro verso l’omosessualità, condannandola come peccato, senza se e senza. Questo non ha ovviamente impedito a schiere di credenti omosessuali di entrare in seminario, raggiungendo le più alte cariche ecclesiastiche. E sebbene Bergoglio abbia chiaramente detto che nella chiesa c’è posto per tutti, riferendosi chiaramente all’orientamento sessuale, la posizione ufficiale del Vaticano non è cambiata: l’omosessualità è un peccato.
Non stupisce dunque che il Papa abbia utilizzato la parola frociaggine, riferendosi alla comunità gay, stupisce la mancanza di attenzione alla comunicazione, dovuta probabilmente al fatto che il sinodo in cui è stata pronunciata era a porte chiuse.
LA CRISI
Siccome qui ci si occupa di comunicazione, non analizzerò i perche, analizzerò il come, i problemi che tale crisi solleva, e la gestione della stessa anche nei confronti di tutti gli stakeholder, s cosi volgiamo dire, che guardano a questo papato.
Motivi della crisi
I motivi per cui la notizia è giunta al grande pubblico. Direi che sono abbastanza chiari: una lotta di potere interno, volta ad indebolire un papato non amato da una minoranza interna molto rumorosa. Chi di voi ha lavorato in una grande realtà (sia azienda, che istituzione o partito) sa quante correnti ci siano e quanti scontri avvengano. In questo caso appare palese che ci sia un problema di ambiente di lavoro (passatemi il termine), e un problema nella catena di comando: un C-Level, e direi che vescovi e cardinali lo sono, non può e non deve mai tradire la propria missione (i famosi voti).
La fuga di notizie
Dopo la fuga di notizie, e il conseguente rimbalzo sui quotidiani, l’imbarazzo. Imbarazzo palpabile, solido quasi, specie per la S. Sede che ha costruito negli anni di Francesco un tipo di comunicazione diversa, nuova, molto più vicina alla realtà dei tempi. Una crepa simile era inammissibile, e andava gestito a muso duro, senza tentennamenti. Il problema è di immagine non esteriore, ma in cui rispecchiarsi: il Vaticano qui parla ad una maggioranza (silenziosa, ma pur sempre maggioranza) che accetta la diversità come un comune fatto della vita. Se si incrina quel rapporto di fiducia si rischia di buttare al vento anni di sforzi e sacrifici, relegando tutta la comunicazione alla semplice liturgia, che non è l’obiettivo (dichiarato) di questo papato.
I rapporti con la comunità LGBT
In un sincero sforzo di dialogo Bergoglio ha espressamente dichiarato che nella sua chiesa c’è posto per tutti, che le coppie omosessuali di credenti vadano benedette come le altre, e che persino il suo giudizio non ha peso verso la realtà di una naturale inclinazione di una parte della popolazione. La frase “chi sono io per giudicare un gay?” è esplicita accettazione e inizio di un cammino che di certo parla alla comunità LGBT+ per inserirla nella visione universalistica della chiesa di Francesco.
Ma come ha reagito la comunità? Ovviamente le anime della comunità sono varie, per cui non c’è una risposta univoca, ma non ci sono ad oggi (29 Maggio) comunicati ufficiali di associazioni come ad esempio Arcigay. Qualche singolo si è espresso con chiarezza: Giorgio Umberto Bozzo ha riso e minimizzato, Franco Grillini mi è sembrato aperturista, in un post pubblico ha dichiarato “è la prima volta che un papa si scusa con la collettività lgbt+”. In ogni caso emerge che non ci sia stata una levata di scudi generale, anzi sembra quasi che ci sia una sorta di benevolenza verso “compagno che sbaglia”.
LA GESTIONE
Lo dicevo all’inizio, la gestione è stata da manuale: non ha rimosso o nascosto il problema, non si è trincerata dietro un “sono stato frainteso”. Ha affrontato di petto il problema chiedendo scusa, e rilanciando all’attacco, ricordando parole pronunciate in tempi non sospetti di apertura alla comunità LGBT+. Ha poi spostato il tema sul perchè quelle frasi siano state pronunciate, e da dove nasca l’incidente. Insomma, capo chino cosparso di cenere, vestiti di un saio, ma con attenuanti generiche. Umanamente non si poteva fare di più, forse qualcuno più in alto, chissà.
Questo dimostra due cose: che le crisi capitano a chiunque, e che chi è preparato e la chiesa lo è senz’altro, non rimane impietrito, ma scala il problema, lo gestisce e lo risolve nel miglior modo possibile data la situazione.
E dopo? Cosa accadrà dopo? Purtroppo non sappiamo quali provvedimenti prenderà la chiesa al suo interno, ma sono sicuro che saranno vari e molto (spiritualmente) dolorosi verso chi ha voluto attaccare direttamente il pontefice (rimozione manager infedeli). Ovviamente non è nemmeno pensabile da qui ripartire con un ulteriore avvicinamento al mondo omosessuale, perchè sono processi lunghi, difficili, e pieni di insidie interne ed esterne. È tuttavia una leva possibile nel medio termine, e credo che verrà utilizzata per andare verso l’obiettivo di una chiesa universale come disegnata per un mondo che affronta il transumanesimo (si, anche da Ratzinger).
IL RAPPORTO CON ALTRE CRISI ISTITUZIONALI
Ricorderete tutti spero la crisi che investi la Polizia di Stato lo scorso dicembre dopo l’omicidio Cecchettin, e la pessima gestione della shitstorm che ne segui. Qui, appare palese una gestione totalmente differente, con una precisa e chiara idea sul come gestire gli eventi senza subirli. Ma la chiesa ha una tradizione millenaria nella comunicazione e una struttura resistente e flessibile in grado di assorbire e digerire ogni crisi (no, resiliente non lo scrivo!).
PS ovviamente la rete si è scatenata con meme a mai finire
PS2 la foto di Papa Francesco è generata con la AI di Leonardo.ai